quarta-feira, 11 de março de 2015

Pesquisa minha, sobre Imigração Italiana, publicada na Italia!



Em 2010 minha filha Ana Luiza foi para a Italia, especificamente Trieste, com o escopo de estudar e realizar um estágio em uma firma italiana.
Estagiou na Câmara de Comércio de Trieste e apresentou uma pesquisa minha, que se tornará livro ainda neste ano de 2015, sobre a imigração friulana/italiana para Minas Gerais.
A resenha foi publicada na revista Amicci del Caffè em duas partes, que ora reproduzo aqui.
Para mim, uma honra ter um trabalho meu publicado em uma revista importante no meu país de origem.
A reportagem pode ser vista no site que evidencio logo abaixo da foto.
Boa leitura!






amicidelcaffe.ithttp://www.amicidelcaffe.it/amicidelcaffe/index.php/2011/06/10/flussi-migratori-brasile-e-caffe-i-parte/

Dall’Italia al Brasile per coltivare caffè – I parte

Flussi migratori, Brasile e caffè: questi gli elementi che si intrecciano e formano il filo rosso della tesi in storiografia di Anisio Ciscotto Filho “L’immigrazione italiana nel Minas Gerais. La fazenda Do Rochedo negli anni 1888-1889”, discussa nel 2004 come Bachelarado em Historia, all’Universidade Federal de Minas Gerais.
VIA GLI SCHIAVI, ARRIVANO GLI ITALIANI
A cavallo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento sono molti gli italiani che lasciano la Penisola per cercare fortuna in Brasile. I migranti erano spinti dalla miseria, conseguenza della depressione agricola della fine del XIX secolo; sull’altro fronte l’impero brasiliano aveva bisogno di manodopera bianca. Perché? Il 13 maggio 1888 fu abolita la schiavitù e si rese necessario accogliere nuovi lavoratori che potessero sostituire o fiancheggiare i neri ormai affrancati, a fronte di un lavoro nei campi che andava sempre più aumentando. Si trattò anche di una questione di ordine pubblico: la massa degli uomini di colore, divenuti liberi, veniva considerata pericolosa e “schiarire la popolazione”, favorendo l’afflusso di europei bianchi, fu una mossa preventiva utile a scongiurare squilibri razziali imprevedibili. Così, già dal 1887, l’impero brasiliano iniziò a favorire l’ingresso degli europei, con biglietti sovvenzionati e speciali agevolazioni per interi gruppi famigliari.
Lo studio di Ciscotto si focalizza, tuttavia, su un’area specifica, quella del Minas Gerais, la provincia che possedeva il maggior numero di schiavi impiegati sì nei lavori delle miniere, ma anche nei campi. Soprattutto nella “Zona da Mata” cominciarono a sorgere molte fazendas che producevano caffè ed è proprio qui che vennero accolti gli italiani.
Ciscotto evidenzia come in questa regione la maggior parte dei migranti fosse giunta da un’area geografica italiana: la provincia di Udine in Friuli Venezia Giulia. Sfogliando i registri delle autorità migratorie, scopre i nomi delle famiglie, i Cristofori, gli Scotto, i Danellon…, che toccarono le sponde del nuovo continente a bordo di navi che malinconicamente portavano il nome di simboli della patria italiana, “Città di Roma”, “Mazzini”, “Po”…
LA FAZENDA
Gli italiani furono il gruppo di migranti più numeroso che si stanziò nella regione. Ebbero un ruolo cruciale nella vita e nell’ampliamento delle piantagioni, e nella costruzione degli insediamenti dell’area. Prima del loro arrivo, la Fazenda do Rochedo di Joaquim Clemente de Campos, la più importante, era costituita solo da un piccolo nucleo residenziale di lavoratori che poi si ampliò molto, tanto che negli anni attorno al 1920 le sue abitudini e i suoi metodi divennero un modello di produttività per l’intero Paese.
Ciscotto si sofferma lungamente sulla descrizione della fazenda e della vita dei suoi lavoratori: vi erano gli immensi terreni coltivati, ma anche gli impianti per il trattamento del caffè. Nella corte venivano messi a essiccare i chicchi, a fianco le rimesse dove venivano riposti gli strumenti per la loro lavorazione.
Allora, nella tenuta, vivevano fino a 350 coloni, tra brasiliani e stranieri, con una produzione di caffè che raggiungeva i 18mila “arrobas” di caffè pulito e lavorato (un arroba corrisponde a 25kg). La tenuta era costituita da più edifici, tutte costruzioni realizzate con il legno estratto dalle foreste abbattute per piantare il caffè.
La fortuna della Fazenda fu determinata dalla creazione di un nuovo collegamento ferroviario che la metteva in diretto contatto con la capitale dell’impero, trasformando la piantagione di caffè in un prospero investimento. Sui treni, che giungevano fino alla fazenda, vi erano vagoni riservati esclusivamente ai carichi di caffè.
Articolo pubblicato su il Notiziario Torrefattori



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